venerdì 18 febbraio 2011

il fantasma di tom joad (seconda parte)

la prima parte la trovate qui

di marco puglioli



Da ben altre tinte – nel senso proprio del termine – e toni è caratterizzato “L’angelo Azzurro” [titolo originale: “Der Blaue Engel”, GERMANIA 1930); lo si capisce bene già dalla prima scena, in cui il protagonista maschile della pellicola, il professor Unrat (Emil Jannings), fa notare alla propria collaboratrice domestica la morte del cardellino che teneva ingabbiato in soggiorno, la quale risponde con uno sbrigativo: “Ah, era tanto che non cantava più!”. La prima parte del film è ambientata negli anni appena precedenti alla crisi del 1929, quando si incominciavano a mostrare alcuni segni del fallimento della repubblica di Weimar; non è da dimenticare, tuttavia, che il film è stato prodotto nel 1930, quando il nazionalsocialismo iniziava capillarmente a diffondersi in tutta la nazione; nazione che, sfiduciata nei confronti dei deboli governi della repubblica democratica, vedeva nei programmi di Hitler e del suo partito un’ancora alla quale aggrapparsi per cercare di riguadagnare importanza nel continente. La morte del cardellino, diventa quindi simbolo della fine del vecchio ordinamento e degli strati sociali ad esso legati, e nello stesso tempo emblema del “torbido avvento dei tempi nuovi”, della volontà di affidarsi a un governo nazionalista e antisemita che rappresentasse la grande borghesia industriale e agraria, il proletariato dequalificato e gli impiegati pubblici e privati.
Unrat – che in tedesco significa sporcizia, spazzatura – scopre che alcuni dei suoi alunni frequentano l’ambiguo locale “L’Angelo Azzurro”. Il professore si reca così personalmente presso il locale, dove, inseguendo alcuni suoi alunni, incontra, nel suo camerino, Lola Lola (Marlene Dietrich), ballerina molto famosa e richiesta dal pubblico, e se ne innamora. Finito nei guai con il direttore della compagnia e con la polizia, a causa della reazione violenta alle provocazioni di due uomini alla ballerina, è umiliato in classe da alcuni ragazzi, che avevano assistito alla scena. Ciononostante, Unrat decide di sposare la ballerina, e per questo perde il lavoro; decide di vendere le cartoline pubblicitarie della moglie.


Gli anni passano, e il calendario alla parete segna l’avvento del 1929. Il professore, ormai sul lastrico, è costretto per racimolare qualche soldo a entrare a far parte della compagnia come clown. Il culmine della discesa esistenziale del professore arriva con il termine della pellicola: la compagnia ha in programma un nuovo spettacolo all’”Angelo Azzurro”, in cui il professore dovrà intrattenere il pubblico travestito da pagliaccio. Durante l’esibizione, alla quale assistono anche il sindaco e gli ex alunni del professore, l’umiliazione del professore è massima, e sfocia in una crisi di violenza quando egli vede la moglie, dietro le quinte, che bacia un equilibrista. Inseguito dalla polizia, scappa dal locale e si dirige verso la scuole, dove, nella scena di chiusura del film, muore accasciandosi sulla cattedra.
La figura di Unrat compie il processo opposto a quella di Godfrey: la sua è infatti una parabola discendente, che termina con la morte (per vergogna!?). Per Unrat la crisi economica segna l’avvento di una crisi personale che parte dalla definitiva rinuncia al progetto matrimoniale con Lola Lola e culmina con la massima umiliazione, ovvero l’esibirsi di fronte ai propri alunni truccato da clown. Unrat non incarna i tratti tipici del self-made man, bensì quelli del protagonista di una tragedia greca o senechiana, la cui pena per essersi macchiato con passioni tipicamente umane è la morte. Sembra quasi che i tratti del protagonista de “L’angelo Azzurro” riflettano quelli del vecchio continente, appena uscito dalla guerra: un insieme di paesi stanchi, con istituzioni ancora arretrate e destinate a essere superate. L’America, invece, il “Nuovo Continente”, sembra pronto ad assumere i tratti di superpotenza, a prendere le redini della politica e dell’economia mondiali; il Paese in cui, nonostante la guerra, ognuno ha ancora un’opportunità. I colori del film sono generalmente scuri, gli esterni sempre notturni. Al film manca la brillantezza, la fluidità che invece è ben presente ne “L’impareggiabile Godfrey” e che lo rende più apprezzabile. La pellicola scorre quasi sempre lenta: uniche eccezioni sono le esibizioni della Dietrich, che con questo film trova la sua consacrazione come “femme fatale” del cinema.

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