martedì 31 marzo 2015

Perchè non lo facciamo per la strada? - Blue Bottazzi



Per un lungo periodo, diciamo almeno 2 anni, forse 3, avevo letto poco e solo libri a sfondo musicale, biografie, autobiografie, storie varie, romanzi comunque che avevano a che fare con la musica.
Alla fine questo genere mi era quasi venuto a nausea, come del resto mi era già capitato altre volte quando mi fissavo su generi o autori.
Quindi da allora cerco sempre di centellinare i libri musicali, che comunque leggerei praticamente tutti, specialmente le (auto)biografie.
Quando avevo iniziato il libro di Will Hermes quindi era il momento giusto, lo avevo comprato da un po', ma lo stavo facendo mantecare come un buon risotto.
Non dico che non mi sia piaciuto, ma date le aspettative e gli argomenti, mi aspettavo molto di più.
Il gusto amaro che mi ha lasciato mi ha spinto a trasgredire questa mia regola dell'alternanza e mi sono buttato a pesce sul libro di Blue Bottazzi, firma mitica dei tempi d'oro del Mucchio Selvaggio, quando ancora non scrivevano i cani dei capi e si parlava di musica.
E il Bottazzi non mi ha tradito, affatto.
Questo è un libro come piace a me! Scritto con passione, di una cosa che si ama, con l'entusiasmo vero di chi dietro alle sette note si è sempre rifugiato con fiducia, perchè alla fine chi vive la musica in un certo modo sa che dentro queri solchi, quelle tracce, perfino dentro quei file c'è una vita, un mondo migliore.
Il taglio del libro è molto giornalistico, se non sbaglio alcuni pezzi riprendono articoli del Mucchio, ma di fondo la carta vincente è appunto la voglia che Blue ha di condividere, non nozioni e date, ma passione, sentimenti, pianti, incazzature, delusioni, scopate, e tanta tanta musica.
Mettete assieme tutti gli album che cita ad ogni fine capitolo e avrete fatto un bel passo avanti per avere uno scaffale degno di essere ammirato.
Ma il meglio sta nei toni, perchè Blue non è uno che ha deciso che di lavoro voleva fare il giornalista, è uno che a forza di correr dietro a musicisti e cantanti se lo è inventato, il mestiere di giornalista, quindi quando scrive e suppongo anche quando parla, traspare pienamente l'amore verso la musica, si sente che sto qui è uno di noi, che con le canzoni non ci lavora, ci vive, ci mangia, ci piange, ci bestemmia e ci scopa.
Il Bottazzi è uno di quelli che quando gli parte l'embolo e butta giù un aneddoto ce l'ha duro, perchè se stai dentro a sto cazzo di rock and roll, ti viene duro a scriverne, figurarsi a cantarlo.
Ed il Bottazzi lo si capisce che per sto libro qualche attacco di priapismo lo ha avuto, quando ti racconta il rock.
Ti sembra di essere con lui, nelle vacanze da adolescente, nei gruppi carbonari delle superiori, quando racconta delle prime volte che ascoltava dei dischi, quando parla di amore e ci mette la colonna sonora, del pit per wilko e della trasferta a zurigo.
Che poi insomma, più dei fatti e delle storie narrate è tutto quello che dicevo prima, che mi ha fatto amare sto libro; perchè magari molte delle cose scritte qui le sapevo già (tra l'altro molte delle cose che sapevo già probabilmente le ho lette nei suoi articoli o nel giornale dove scriveva)(però nel 1988 bruce suonò mica a san siro dai, ma al comunale di torino), però se dobbiamo portare sto cazzo di verbo agli infedeli, serve passione, non nozionismo e il Bottazzi te ne passa a pacchi, di passione.


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