mercoledì 9 agosto 2017

Tra Pavese ed il blues. I Gang a Roddino.



(Foto di Marcello Marengo)

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".

Non fosse che i ragazzi di Roddino l'hanno usata come slogan per la Pro Loco, sarebbe da prendere questa celebre frase di Cesare Pavese e dedicargliela, ai ragazzi di Roddino.

Arrampicato sulla Langa, vicino al glamour trendy di Barolo, Roddino non è solo un piccolo paese, ma un'idea, un ideale, una promessa mantenuta.

Roddino è una comunità.

Una comunità che nella condivisione tira avanti, lavora, fatica, impreca, ma alla fine, come ogni comunità rurale, contadina, raccoglie.

E quando raccoglie fa festa, fa "le cose pazze".

Benvenuti alla Mataria d'Langa, la festa della comunità di Roddino.

Ci siamo tornati, in un caldo weekend di fine luglio, per sentircene parte, per viverne l'entusiasmo e la bellezza.

Mataria d'Langa dura qualche giorno, ma l'evento che più la rappresenta a mio avviso è l'immancabile concerto dei Gang.

Evento che unisce memoria e condivisione, lotta ed ideali, amicizia e bellezza.
Un concerto che da sempre porta avanti concetti ben chiari, battaglie da combattere e soprattutto il peso enorme della volontà, volontà di tramandare una tradizione, conservare un sentimento.

La serata dei Gang, aperta non a caso da un giovane gruppo della zona, i Ginostra, melodici e appassionati, fotografa l'intesa tra questi due mondi, dalla Langa alle campagne marchigiane.

Se la musica dei fratelli Severini da sempre conserva la memoria e la tradizione, sentirla qui, sulla scalinata che porta alla Chiesa, tra una grigliata ed un rosso, tra i tajarin di Gemma e l'odore di brace, te la fa apprezzare ancora di più, facendotela vivere in un contesto così vivo, vero, che in quelle canzoni ti sembra di starci dentro.

Una comunità che crea un mondo migliore di quello che ci aspetta qualche km più in basso, un mondo migliore dove si respira forte l'aria di condivisione, dove il regista di tutta la storia, Marco, ti viene incontro a stringerti la mano anche se vi siete visti solo due volte, dove non c'è differenza tra il dividere la tavolata con perfetti sconosciuti e l'alzare il pugno in ricordo dei fratelli Cervi.

Roddino è un posto dove avrebbero potuto nascerci e viverci, Marino e Sandro, non fossero nati e vissuti a Filottrano, tanta è la vicinanza tra molte loro canzoni e quest'aria speciale che si respira; quel comunismo che prima di essere partito o idea politica è interesse verso l'altro, senso di appartenenza; quella vita contadina che ti fa spezzare il pane e versare il vino come una eucarestia laica, ma non meno sincera; quell'idea, congenita, che il "di tutti" venga prima del "mio".

Sabato 22 luglio, la serata è stata se possibile più speciale del solito, perchè insieme ai Gang, con i Gang, ha suonato Paolo Bonfanti.

Ora io del Bonfa potrei parlare per ore, del suo tocco sulla chitarra, della sua bravura come musicista e come autore, della bella, bellissima persona che è.

Ma voglio sottolineare specialmente come il Bonfa sia un bluesman, dentro, nell'animo, e di conseguenza come tutto questo insieme di idee, valori, sentimenti di cui ho scritto, trovino nella sua chitarra un suono perfetto, preciso, meravigliosamente descrittivo.

Non a caso, e grazie ad una amicizia di lunga data, il Bonfa entra nelle canzoni dei Gang come se ci fosse sempre stato, le colora con tinte nuove ed insieme a Sandro e Jacopo le arricchisce di assoli fantastici.

Indubbiamente è stato un concerto anomalo per i Gang, con Marino volutamente più silenzioso e la musica a farla completamente da padrone; la presenza in diversi brani di un sax ed una tromba, oltre a impreziosirli, ha definitivamente alzato a livelli di guardia la dimensione rock-blues del concerto.

L'innesto della nuova sezione ritmica, con Diego Sapignoli strepitoso alla batteria, ha chiuso il discorso e per tre ore la Mataria è stata sfrenata.

Oltre ai cavalli di battaglia immancabili, tra cui cito una gigantesca "Le radici e le ali", la parte dello show dedicata a Calibro 77 (nuovo disco dei Gang dedicato ai brani di 40 anni fa) è rientrata perfettamente nel discorso di tradizione e memoria di cui sopra. De Andrè e Gaber, De Gregori l'irriverente Della Mea, tutti scampoli di un passato da conservare e tramandare, tutti tasselli di quella memoria che ostinatamente (e sempre in meno persone) continuiamo a pensare debba essere il fondamento di una società migliore.

Conservazione della memoria ed assunzione di responsabilità; sono queste a mio avviso le due linee guida di Calibro 77 e dell'operazione che l'ha creato; un disco da approfondire, con cura, come uno scrigno ricco di tesori.
Mi piacerebbe scriverne.

Per ora però chiudo ricordando come la serata sia finita "in gloria" con un paio di blues dove il Bonfa ha preso in mano la situazione e ha "riportato tutto a casa".

Mi perdoni Pavese, ma "un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di serate come questa"

Torneremo.




(foto di Fabrizio Ambrosio)

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