martedì 6 marzo 2018

Viaggiare leggeri rende felici. Il bagaglio a mano di Andrea Amati





Spiazzante.

Il disco di Andrea Amati, pochi minuti dopo averlo messo in ascolto mi si è definito da solo, semplicemente così: spiazzante.

Perchè va bene conoscere poco l'autore e la sua carriera, ma io mi aspettavo qualcosa di più "classico", un "chitarra e voce" con attorno qualche bravo musicista, confidavo nel bravissimo Federico Mecozzi, giovane violinista apprezzato con i Miami & the Groovers, ero fiducioso sugli altri membri della band, mai sentiti ma che immaginavo, essendo parte di una bella scena come quella emiliano-romagnola, essere all'altezza di Mecozzi e dello stesso Andrea, di cui ricordavo belle versioni di qualche classico di De Andrè, primo fra tutti "Il gorilla".

Invece Bagaglio a mano parte con un brano mezzo parlato, con un sacco di elettronica e dei rimandi che di primo acchito mi fanno pensare più a Lo Stato Sociale che ai cantautori di una volta.

Mi sono perso è comunque un modo eccezionale per dare il via a questo album, così personale, ricca di ironia e di buoni propositi, con un testo che ben ascoltato punta più ai Cochi e Renato de La canzone intelligente che ai "regaz" tanto in voga oggi. Un teatro canzone di facile presa, ma che approfondito spiega dove ci vuole portare Andrea nelle dieci canzoni che compongono il suo disco.

Una direzione da trovare o il piacere di vagare senza meta con la curiosità di capire cosa il destino ci riserverà? Non sembra così triste di essersi perso, Andrea, anzi, l'essersi liberato di alcuni "vestiti scomodi" lo fa sentire leggero e pronto di cercare le cose davvero importanti, ricerca che è il liet motiv dell'opera.

Infatti la stessa Bagaglio a mano spiega molto bene lo spirito di Andrea e la sua voglia di essenzialità, il volersi lasciare alle spalle i piaceri effimeri e soprattutto poco duraturi, la voglia di apparire, lo sputtanarsi su un muro (candidarsi alle elezioni?) o l'accumulare false ricchezze. Certo, a lasciare indietro tutto ci vuole abilità, dice, ma dalla borsa sarà il caso che tutti controlliamo cosa si può eliminare, perchè la pesantezza di questi tempi sta anche nel bagaglio che ognuno di noi si porta appresso. 

La scelta della leggerezza quindi come ricerca di una felicità che duri più di due giorni scarsi e che ci faccia vedere le nostre paure non più come irrinunciabili eredità ma come vere e proprie zavorre da gettare via.

Sulla stessa linea di pensiero Cose fa il punto su quella che è una genuina definizione di Vita, scritto maiuscolo perchè degna di essere davvero vissuta e soprattutto vissuta fianco a fianco con chi ne condivide l'essenza, complici e migliori, meravigliosa definizione di coppia, due persone che possono aggrapparsi l'una all'altra, per combattere o per ammazzarsi di risate, per far vincere il pensiero, per sconfiggere il grande vuoto.

Abbiamo il bagaglio, abbiamo la compagnia, ma dove vogliamo andare? Altrove, semplicemente altrove. 

Il marinaio che hai il mio nome sono io, il me stesso che ha chiaro di dover andare via, lontano, magari nemmeno in senso geografico, ma mentale; atto di accusa durissimo verso chi doveva difendere le nostre emozioni, i nostri valori, le nostre conquiste, questo brano è un entusiastico calcio nel culo per far smuovere quella parte di noi incollata al passato ed al già visto, a quei mille e mille motivi per non cambiare, che altrove non esisteranno più. 

Allora ben venga il buio, se la luce che ci accoglierà sarà quella di un'alba nuova.

Se l'essenzialità è leggerezza non superficiale, Carmen racconta di una leggerezza vuota, anzi svuotata, di un'anima lasciata a galleggiare tra feste, alcool ed altre illusioni; su un ritmo quasi dance, Andrea disegna un ritratto caustico di una generazione trasversale ed in costante aumento, che vive dentro lo schermo di un telefono e che davanti allo specchio ci passa solo per prepararsi la quotidiana dose di tossico buonumore.

Si resta in tema di vacuo ed effimero, con la cover de La ballata della moda di Luigi Tenco, brano che con 40 anni di anticipo aveva già raccontato come si convince la massa e ci aveva spiegato che se ripeti una cosa con insistenza, alla fine tutti ti crederanno.

Fa venire i brividi leggerla in quest'ottica oggi, nell'epoca delle fake news, ma non si può fare diversamente e Andrea ne sottolinea l'assoluta attualità con una interpretazione molto sentita.

Salvo (2017) è invece un cazzotto nello stomaco a bruciapelo, ti arriva all'improvviso, ti lascia senza fiato; non è dato di sapere chi sia, Salvo, ma su di lui gravano le colpe di un mondo cattivo, di una esistenza sbagliata, come le scelte di chi doveva occuparsi di lui; non è chiaro se sia una storia vera o meno, però il brano è una riflessione sulla responsabilità condivisa a cui tutti dovremmo partecipare; ho immaginato Salvo come un giovane ragazzo, scappato da chissà dove e costretto dentro un sistema che non ha scelto, costretto a tenere dentro il suo bagaglio a mano accuse e pregiudizi, colori e ricordi. Mi ha colpito molto la parte dove dentro un supermercato lui vede la sua vita sprecata dentro una foto; non è un'immagine chiara e nasconde un significato che mi sfugge, ma la trovo fortemente evocativa.

Proteggere Salvo dal fumo e da quello che non c'è dovrebbe essere dovere di tutti.

Bacio botto lascia spazio alla nostalgia ed al ricordo, di qualcuno, di un tempo dove certi obbiettivi sembravano a portata di mano e nessuno pensava al loro costo, in termini soprattutto umani. Una storia logorata forse proprio dalla pesantezza di un bagaglio che non si sapeva selezionare con più cuore o forse proprio per l'opposto, perchè il cuore spesso ci appesantisce.
Che cosa rimane di noi? Una lezione dura e forse inutile, perchè lui non ha imparato a ritrovarla, la sua barca si allontana e quel maledetto traguardo sembra davvero un prezzo troppo alto.


Picco del disco, Il muro è un dialogo diretto e di una schiettezza affascinante. Incalzato da un ritmo ossessivo, Andrea ci coinvolge in un esame di coscienza durissimo, con domande pesanti come macigni ed una sincerità che non si può non ammirare. Si chiede nella copertina del disco se sia il caso mettere troppo di noi stessi nelle canzoni, ma a lui è venuto di fare così e chi ascolta dovrebbe solo ringraziarlo per tale onestà.

Hai mai pensato a migliorare, evolvere i tuoi limiti?
Come si può imparare a non affondare più?
Cosa possiamo dare, rimanendo sinceri?

Quesiti attorno ai quali nasce e si sviluppa la leggerezza che è la meta finale dell'album e di conseguenza della vita stessa di Andrea, capace di mettere in musica un processo di maturazione e crescita che sentiamo immediatamente vicino. Attraversato quel muro c'è un domani migliore, non c'è più il rimpianto, ma l'impresa che Andrea chiama Futuro.

Che senso ha, ci e si chiede restare fermi ad aspettare? Abbiamo ali, voliamo, abbiamo gambe, saltiamo, abbiamo un cuore, viviamo, ma viviamo davvero.

Chiude l'album l'evocativa, già dal titolo, Verrà il tempo.

La meta, il traguardo, la vita sognata, è qui a portata di mano, la possiamo vedere, annusare, sognare.

Non cercare più nient'altro, dice, è tutto qui, nel nostro bagaglio a mano abbiamo tutto ciò che ci serve per vivere come vogliamo.

Una lunga e struggente coda di pianoforte e chitarra saluta Andrea, quasi a farcelo accompagnare con lo sguardo, mentre si allontana.

La strada è segnata, ora sta a noi capire se nel nostro borsone ci sono solo le cose essenziali o forse possiamo lasciare a terra qualcosa e liberarcene per sempre.

Sarebbe il primo passo per seguire quella felicità che spesso scambiamo con volgari imitazioni.

Innamorarci di questo album ci aiuterebbe a tenere la rotta.

Essere felici veramente, cosa cerchi di diverso?





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